Abbiamo intervistato Marco Merola, napoletano, giornalista professionista, specializzato in giornalismo scientifico ed archeologico.
Da italiani espatriati, seguiamo sempre con molta attenzione le storie di altri italiani che hanno fatto fortuna all’estero, soprattutto, poi, se queste eccellenze italiane lavorano nell’ambito della cultura, dell’arte e del patrimonio. Siamo sempre molto curiosi di conoscere la storia di chi ce l’ha fatta a dispetto di tutte le difficoltà che spesso in Italia rendono impossibile un lavoro soddisfacente nel settore della cultura.
Marco, reduce da un recente reportage appassionante in Giappone sulle tracce della flotta del Kubilai Kahn scomparsa nel 1281, ha realizzato negli ultimi anni svariati reportage in Italia ed in varie parti del mondo collaborando con riviste del calibro di National Geographic (USA), Geo (Germania-Spagna), Archaeology (USA), Sciences et Avenir (Francia), Science et vie (Francia) e, in Italia, “Il Venerdí” de La Repubblica, Panorama, Focus, Quark e La Macchina del Tempo. Tra le ultime pubblicazioni internazionali ci sono i reportage archeologici dallo Sri Lanka e dal Perù, e quelli scientifici, in particolare sull’assemblaggio della sonda europea Mars Express e sul telescopio italiano VST, destinato al sito di osservazione cileno del Cerro Paranal.
NT: Marco, hai un curriculum incredibile e soprattutto internazionale: quanto l’Italia ha supportato la tua formazione e poi la concreta applicazione lavorativa dei tuoi studi?
MM: Mi ha supportato ma non in maniera canonica. Nel senso che, per il tipo di lavoro che faccio, indagare nell'archeologia, nella cultura, nella "Grande Bellezza" italica, il mio playground doveva e deve essere necessariamente l'Italia (e non solo, ovviamente), ma nel mio paese non esistono, purtroppo, le giuste casse di risonanza. Diciamo che l'Italia ha sempre fornito la materia prima per i miei servizi, in grande abbondanza, ma con molta fatica mi ha, poi, offerto i giusti spazi editoriali per divulgare le mie storie. Un tempo, prima della crisi editoriale del 2008-2009, c'erano molti più giornali e pubblicazioni attente a questi temi, ora non è così. La cultura viene regolarmente messa al secondo posto (o terzo, o quarto... ) dietro la politica, la cronaca nera, il gossip, il sesso. E, si badi, non perché, come racconta qualcuno, "il pubblico chiede questo", ma per deliberata scelta editoriale di chi non sa (e forse non ha mai saputo) come si fanno giornali di qualità. Le derelitte vendite in edicola non fanno che dimostrare la bontà della mia teoria. In questo senso, la Francia ha sempre avuto una grande tradizione di divulgazione scientifica, basta vedere le edicole che traboccano di riviste di ogni genere. Ed io, non a caso, mi sono formato in un'agenzia di stampa scientifica parigina che si chiamava Eurelios, oggi non esiste più. I miei studi (Giurisprudenza e, prima ancora, un ottimo Liceo classico) mi hanno invece dato l'amore per la storia, la cultura.
NT: La scienza, l’arte e l’archeologia in Italia sono percepite sempre di più come complicate, poco interessanti e riservate a una élite ristretta. Qual è il pubblico dei tuoi articoli? Come riesci a fare breccia raccontando storie sempre coinvolgenti?
MM: Vedete (in parte) la risposta precedente. Posso dirvi che c'è ancora qualche direttore "illuminato" che crede che la cultura e la scienza possano fare "notizia", il resto ce lo metto io, andando a fondo nei temi che tratto, cercando di far venire fuori l'anima della storia. A me non interessa strappare un titolone ad effetto, mi interessa riempire di contenuti i miei articoli. Credo nell'edutainment (éducation+entertainment) e credo che il pubblico apprezzi. Lo leggo nei commenti che fanno ai miei articoli, nel consenso sui social, in tante cose. Mi piace che tutti capiscano e tutti abbiano l'impressione di aver imparato qualcosa, l'uomo della strada, la casalinga, gli studenti, il grande manager e, perché no, anche gli intellettuali più snob. Non ho una ricetta per fare breccia, posso però dirvi che studio, molto, leggo in maniera bulimica, consulto sempre varie fonti, non mi fermo finché non mi sento di dominare un argomento e, dunque, poterlo trattare con la dovuta attenzione. I lettori amano chi li porta "beyond the doors" ed è quello che io cerco sempre di fare.
NT: Da napoletano, nato in una terra ricca di storia e di archeologia, cosa pensi della gestione dei nostri scavi? Che differenze hai riscontrato all’estero?
MM: Oggi si sta facendo il possibile per mantenere un patrimonio immenso (l'Italia detiene circa i due terzi del patrimonio storico-artistico-archeologico mondiale) con fondi ridotti all'osso. Ogni giorno si compiono piccoli miracoli, tanto nelle città quanto in provincia. Eppure non basta mai, è sotto gli occhi di tutti. Un pensiero languido va a Pompei, luogo che amo molto, sin da piccolo. Stanno succedendo cose che non mi piacciono, va assomigliando sempre di più ad una Disneyland dell'archeologia... non mi pare che il futuro sia roseo. All'estero le cose non vanno né meglio né peggio, c'è solo una mentalità differente. Ci sono musei e siti archeologici poverissimi (se confrontati a quelli che ha l'Italia), ma in cui pure si riescono a fare geniali operazioni di marketing e promozione di cui noi, qui, avremmo tanto bisogno. Ecco, uno dei veri problemi che affliggono i beni culturali è la miopia (e talvolta la vecchiaia, si proprio quella anagrafica) dei dirigenti e dei soprintendenti di casa nostra, gente che ancora chiama internet "nuova tecnologia"....
NT: Hai girato il mondo e incontrato l’arte e la storia di diversi popoli e secoli: hai sviluppato qualche preferenza? C’è mai stato un momento in cui hai pensato "è il punto più alto della storia dell'umanità"?
MM: Beh, l'ho pensato tante volte. In Egitto, In Medio Oriente, in Centro America. Antichi Egizi, Babilonesi, Maya, sono state civiltà all'avanguardia in tantissimi campi. Culture raffinate in grado di creare e gestire sistemi di potere duraturi e prosperare, nonostante le guerre e i conflitti. Soprattutto, quando guardo una piramide, una tomba o, anche, una raffinata opera pubblica dell'antichità mi fermo sempre a pensare. Mi dico "guarda che meraviglie ha saputo creare l'uomo e oggi invece... ". Oggi siamo maestri nel costruire centri commerciali, grattacieli, navi da crociera e distruggere angoli di bellezza con criminale noncuranza. Credo, comunque, che siano i Maya quelli che mi abbiano impressionato di più.
NT: Giornalisti, archeologi, storici dell’arte e uomini di lettere: ogni giorno l’Italia sforna eserciti di giovani qualificati. Quali sono le loro prospettive oggi e nell’immediato futuro? Tu che ce l’hai fatta, cosa ti senti di consigliare a tutti loro?
MM: Non so se ce l'ho fatta, diciamo che sono ebbro dell'adrenalina che ogni giorno delle mia vita, da oltre vent'anni, mi schizza dentro con forza. Quella mi sostiene! Insieme alla passione per il mio lavoro e alla continua voglia di scoprire e imparare cose nuove. Credo che i giovani debbano farsi guidare dai sogni e dalle passioni, ma imparare anche presto a sviluppare senso pratico, a focalizzare gli obiettivi. Ho insegnato in vari Master, sia all'università che altrove. Alla prestigiosa Società Geografica Italiana, per esempio. Ho sempre avuto ben chiaro che davanti a me c'erano dei giovani di valore (non tutti, è normale), ma che avessero il gran difetto di non avere la più pallida idea di come sfruttare i loro punti di forza. Ho come l'impressione che a molti manchi la giusta visionarietà, la creatività che deve innervare ogni azione quotidiana. Purtroppo quella non te la insegna nessuno, o ce l'hai o non ce l'hai. Il problema è che oggi è un mark up importante del talento personale. Qualcuno la chiama resilienza, capacità di adattamento alle mutate condizioni sociali. A me, però, continua a piacere la parola visionarietà. Intendo che molti, se trovano ostruita la strada che dovrebbe portarli da A a B, hanno enormi difficoltà a trovare una strada alternativa che li porti allo stesso punto. E, allora, mi viene sempre il dubbio che forse non siano poi così convinti di volerci arrivare a B. Il problema è che se loro per primi non ne sono convinti non possono poi sperare che altri investano su di loro. Non mi piace dare consigli perché mi ritengo un uomo ancora in fieri (nonostante i miei 42 anni), però credo che puntare a migliorarsi costantemente ed accrescere le proprie competenze sia un modo per rendersi appetibili, in qualunque mercato del lavoro.
NT: Com’è la tua esperienza di Parigi, cosa pensi del suo patrimonio, di come è gestito e raccontato? In cosa dovremmo prendere esempio e cosa invece abbiamo noi italiani da insegnare ai nostri "cugini francesi"?
MM: Parigi l'ho molto amata, dai tempi in cui frequentavo l'agenzia nell'IX° arrondissement . Ho avuto modo di tornarci di recente per seguire un'opera d'arte che partiva da Roma per andare al Grand Palais, ne sarebbe poi venuta fuori una puntata di Superquark (cui io ho prestato solo consulenza esterna). Credo che il Louvre soprattutto sia un faro della gestione museale mondiale. Ho avuto occasione di conoscere una sua curatrice in un panel molto bello che ho organizzato all'ultimo European Science Open Forum a Manchester, lo scorso luglio. Ma mi risulta che anche altri musei e luoghi storici siano ai primi posti nei ranking mondiali. Questa domanda è difficile. Posso risponderti per linee generali. Forse sul merchandising e la gestione dei cosiddetti "servizi aggiuntivi" i francesi sono avanti. Così come la gestione del personale. Noi, invece, siamo spesso carenti in tutti questi settori. Basta vedere le schifezze che si trovano nei bookshop italiani. E anche la qualità del personale di sala dei nostri musei lascia spesso a desiderare. Gente totalmente inadatta al contatto col pubblico ma... molto protetta sindacalmente....
Direi, invece, che noi possiamo insegnare ai francesi un po' di umiltà.
Riguardo Parigi nello specifico, aspetto che mi invitino per visitare le sue viscere, per me mitologiche. Ho indagato nel sottosuolo di tutte le città italiane ma Parigi è un pallino che non riesco a togliermi dalla testa.
NT: Progetti futuri?
MM: Tanti, sempre. Uno, forse due libri da scrivere, un grosso evento che sto organizzando a San Francisco per il 2017, un lavoro importante che sto per cominciare ma che per varie ragioni non posso ancora rivelare, un grande progetto giornalistico transmediale in fase di scrittura. Poi dovrei cominciare le lezioni ad un Master all'Università Tor Vergata di Roma, poi vorrei portare in giro il mio workshop di giornalismo. Come dico sempre, se non riesco a far tutto in questa vita lo farò nella prossima.