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Anselm Kiefer al Centro Pompidou. Germania mia quante colpe!

Conoscete l’artista tedesco Anselm Kiefer? Noi passiamo e ripassiamo in continuazione davanti ad alcune delle sue opere che dal 2007 fanno parte del decoro permanente del museo del Louvre, durante il nostro tour dell’antico Egitto, ma a essere onesti, fino a qualche giorno fa, Kiefer era per noi era poco più che un nome su un cartellino. Così, appena saputo che il Centro Pompidou, qui a Parigi, ospita una personale dell’artista ci siamo precipitati a Beaubourg per colmare la lacuna.

Kiefer, classe 1945, è una delle figure più importanti del movimento Neo-espressionista. Allievo di Joseph Beuys, sarà il Maestro a spingerlo verso il grande formato e a suggerirgli l’uso di simboli per raccontare con sarcasmo le sue storie e per descrivere il suo grande soggetto: la Germania.

Tra le sue prime produzioni c’è Occupazioni, una serie di autoritratti fotografici che lo riproducono con la divisa militare del padre, mentre compie il saluto nazista. A metà strada tra la fotografia e la performance, questo lavoro fu a suo tempo ingiustamente accusato da critici poco accorti di apologia di nazismo, mentre l’idea di Kiefer era quella di svegliare la Germania da una pericolosa amnesia collettiva e spingerla ad assumersi una responsabilità di cui non si deve tacere l’eredità.

“Germania mia quante colpe!”, questo pare essere il leitmotiv delle opere di Kiefer che ci spiega anche che la costruzione di una coscienza nazionale tedesca ha camminato di pari passo con la nascita del nazismo, lo fa in Percorsi della saggezza del mondo, dove dipinge i ritratti degli intellettuali del suo paese accanto a quelli degli “eroi” del regime. I volti sono legati insieme da grandi linee curve simboleggianti i complessi legami culturali che fondano una nazione.

La Germania si può raccontare anche attraverso quello che non c’è più, come le architetture neoclassiche simbolo del potere hitleriano di cui i bombardamenti hanno eliminato ogni traccia. Kiefer restituisce questi edifici al nostro sguardo come fossero delle rovine.

A colpire maggiormente il nostro immaginario sono state, però, Le vetrine, delle vere e proprie teche dal contenuto vario: organi anatomici, oggetti di riuso, fotografie, disegni, materiale organico, calcinacci, giocattoli. Tutto sta lì in attesa, cristallizzato, quasi in stato di putrefazione. La vetrina come oggetto in sé comporta il principio della vitrificazione: le lastre di vetro che la compongono proteggono l’oggetto contenuto e lo bloccano all’interno dello spazio-tempo, in questo caso con lo scopo di raccontare uno spazio, un tempo, la storia.

Nel 1995 Kiefer torna al suo primo amore, agli autoritratti, rappresentandosi spesso disteso nella postura del cadavere detto Shavasana nello Hatha Yoga. Questa figura della morte e della resurrezione evoca certe rappresentazioni esoteriche e richiama ai rapporti di armonia tra microcosmo e macrocosmo.

La galleria si chiude con l’omaggio di Kiefer a Madame de Staël, oppositrice di Napoleone e convinta repubblicana. La de Staël viaggia in Germania dove incontra Goethe, Schiller, Schlegel, esperienza che l’aiuterà a gettare le basi del romanticismo francese.

Per finire, la mostra era accompagnata da un’installazione, purtroppo già smantellata, tutta da attraversare. Salendo, salendo verso l’alto, sprofonda nell’abisso, il titolo è una citazione del Faust di Goethe. Qui Kiefer ha incollato tutte le foto da lui scattate nel corso degli anni su del nastro di piombo, montandole insieme come si trattasse di una pellicola cinematografica. Solo che il principio del film è la trasparenza: lasciare passare la luce attraverso la pellicola per permetterne la proiezione. Ora, invece, incollate sul piombo queste immagini perdono trasparenza e non sono più visibili, non più proiettabili, la sola maniera di fruirne è farlo “altrimenti”, ossia, proiettando se stessi, con pensiero e col corpo, dentro questa struttura a più piani e salire, salire, salire, dentro l’immaginario di Kiefer e dentro noi stessi.

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